LaDivina Commedia, unviaggio nei meandri dell’animo umano, tra peccati, redenzione, beatitudine e ...cibo! Una delle costanti del peregrinare del poeta fiorentino fra i tre regni ultraterreni è proprio l’alimentazione. Pena e colpa per i peccatori, sinonimo di conoscenza per le anime del Purgatorio, e premio per i beati del Paradiso.
Tutti i riferimenti che Dante fa al cibo non sono altro cheindizi su come fosse la cucina toscana del Medioevo: come si mangiava, con che frequenza e quali alimenti imbandivano le tavole del tempo, compresa quella dello stesso Poeta.
Dante inizia a scrivere la sua opera più famosa in un periodo in cui anche la cucina nostrana si rinnova, grazie all’arrivo dei primi ricettari. Il Liber de coquina, uno dei più famosi nonché primi a circolare (si pensa sia stato scritto intorno al 1304), è la seconda parte di un volume riguardante la cucina dell’epoca. All’interno di questa sezione (redatta in lingua italiana probabilmente da un anonimo angioino) si distinguono diverse categorie che trattano ciascuna un alimento diverso: ortaggi, pollame, pasticceria, pesce e piatti più complessi.
Come testimoniano tanti altri scritti del tempo, tra cui il Libro della cucina del XIV secolo dell’Anonimo Toscano, gli alimenti e la loro preparazione assumono dunque un ruolo rilevante nella letteratura. È forse per questo che anche lo stesso Dante decide di inserire nella sua opera maestra dei riferimenti alla gastronomia trecentesca.
Tu proverai sì come sa di sale
lo pane altrui, e come duro calle
lo scendere e ’l salir per l’altrui scale.
Grazie all’incremento delle coltivazioni di frumento nel Basso Medioevo, il pane era diventato fondamentale nella dieta di allora, tanto da definire tutti gli altri elementi dei veri e propri companatici. Il pane di cui Dante stesso accenna nel Canto XVII del Paradiso è quello realizzato secondo la tradizione (ma anche la storia) toscana: sciapo e dalla crosta bruna. In questo periodo storico il pane era largamente consumato anche dai ceti più bassi, che lo adoperavano – tritato insieme a spezie varie oppure a pezzi – per insaporire zuppe, condire la carne (usando in questo caso solo la crosta) oppure farcirla, come si usava preparare il vitello.
Anche se nel Medioevo toscano a cena si consumavano gli avanzi del pranzo (o per lo meno così faceva la maggior parte della popolazione), oggi vogliamo proporvi un menù dantesco per una cena completa, a base di piatti familiari al poeta fiorentino. Una selezione di portate tipiche dell’epoca, realizzate all’uso medievale come descritto nei ricettari del ‘300.
“Fave, lenti e fasoli”, uniti a porri, cavoli e cipolle per una zuppa in pieno stile medievale. I legumi erano una risorsa economica e facilmente reperibile, fonte di proteine e altri importanti nutrienti. Grazie all’aggiunta di carne bollita (spesso di pollo o ovino), uova o del “cascio”, una semplice purea di lenticchie si trasformava in un sorprendente piatto unico!
Per quanto riguarda il condimento, i più ricchi non rinunciavano mai al grasso animale, insaporendo i propri piatti con strutto o lardo. Mentre il “liquor d’ulivi” (Paradiso, Canto XXI) si abbinava meglio a piatti poveri, consumati per lo più dai ceti meno abbienti.
In assenza di forni ma soprattutto di limiti per quanto riguarda la caccia di animali selvatici, la carne di cervi, maiali selvatici e caprioli veniva cotta prettamente arrosto. I libri di cucina del tempo raccomandano di massaggiare la carne prima con strutto o olio. Poi la si può insaporire con un pesto di basilico, pepe e “agreste”, un tipo d’uva non del tutto matura che dona quel sentore acidulo e leggermente piccante al piatto. Adagiare la carne sul fuoco (all’epoca erano per lo più braci) e attendere fino a completa cottura.
Se il “pan degli angeli” nell’immaginario corrisponde alla torta Paradiso, nel Medioevo erano le spezie a dar gusto e ricchezza al dessert. Uno dei più famosi era il Nucato, una sorta di croccante a base di frutta secca (come noci, nocciole o mandorle), miele e spezie (cannella, zenzero, chiodi di garofano). Direttamente dal Libro della cucina del secolo XIV , ecco come prepararlo:
Togli miele bullito e schiumato, con le noci un poco peste, e spezie cotte insieme: bagnati la palma de la mano coll'acqua, et estendilo: lassa freddare, e dà a mangiare. E puoi ponere amandole, e avellane in luogo di noci
In abbinamento a questo speciale menù non può mancare della buona Vernaccia di San Gimignano, vino rinomato per la sua lunga storia e menzionato nella stessa Commedia. È infatti proprio Papa Martino IV che, costretto in Purgatorio, deve scontare i propri peccati di gola rinunciando alle "[...] anguille di Bolsena e la Vernaccia…." (Canto XXIV).
Che ne pensate di questo banchetto quale omaggio alla Corona fiorentina? In occasione del Dantedì, vogliamo celebrare l’anniversario di morte del Sommo poeta facendovi rivivere le tradizioni culinarie del suo tempo, descrivendo quei piatti che probabilmente lui stesso consumava e preferiva.