Cosa sono gli orange wines

Nelle trasmissioni televisive o sfogliando riviste di settore ci si imbatte nella definizione alquanto misteriosa di Orange Wines, termine esterofilo e forse più intrigante dell’italiano Vini Arancioni.
In effetti “vini arancioni” potrebbe far storcere il naso e non suscitare la giusta curiosità di conoscere ed apprezzare questa particolare famiglia enoica di antichissima tradizione ma di moderna riscoperta: parliamo di vini prodotti da uve bianche fermentate sulle bucce.
I vini prodotti da lunghe fermentazioni, sia bianchi che rossi, sono conosciuti fin dagli Antichi Romani, che abitualmente lasciavano le uve raccolte a fermentare sulle proprie bucce e filtravano il mosto a seconda degli usi che ne dovevano fare. La viticoltura era meno sofisticata di oggi, seppur con attenzione in vigna, e i vini dell’epoca erano sì carichi di colore, di profumi e di corpo, ma in alcuni casi difettavano nel sapore, diventando presto aceto o semplicemente andando a male. Tini o anfore in terracotta venivano conservati nella neve o interrati, per mantenerli a temperatura costante, in una sorta di moderna fermentazione controllata. Era usanza degli Haustores (i Sommelier dell’epoca) creare misture ad hoc miscelando sapientemente vino, acqua (a volte acqua di mare), spezie e miele: tali “vini” venivano poi serviti ai commensali che partecipavano ai baccanali romani con conseguenze a volte disastrose per la salute, e non me ne meraviglio!
Oggi gli Orange Wines sono prodotti di nicchia, provenienti da zone enoiche che non tutti conoscono e frequentano: la Georgia (ex repubblica sovietica) che ne rivendica la primordiale produzione e distribuzione, le regioni europee dell’alto Adriatico in primis, Slovenia, Croazia e Serbia, poi Austria e Germania e, attraversando l’oceano, America del Nord e Nuova Zelanda.
Il termine definisce il colore di questi vini che esula dalle normali variabili tra il giallo paglierino carico o dorato tendente all’ambrato.
Si tratta di un colore carico, caldo e avvolgente (simile al colore del tramonto in una serena serata ottobrina) e che ricorda l’arancione, e deriva dal fatto che le uve vengono lasciate macerare sulle proprie bucce per lunghi periodi, anche superiori ai 3 mesi.

Cosa c’è di particolare in questo? Vi chiederete.
La risposta è che solitamente sono le uve nere che vengono lasciate a macerare per arricchirsi di tannini e colore, mentre qui sono le uve bianche ad arricchirsi degli stessi ingredienti che conferiscono importanza al mosto dei vini rossi.
Produrre ottimi vini bianchi fermentati sulle proprie vinacce che possano conservarsi a lungo non è un lavoro semplice. Si parte da una vigna e da un’uva sana, coltivata per lo più seguendo metodi naturali e biodinamici. Si tratta di colture e piccole produzioni che richiedono un’attenzione particolare: in cantina la fermentazione può durare molti mesi e avviene naturalmente e senza controllo di temperature né l’aggiunta di alcun conservante (i solfiti).
Come per i rossi, vengono effettuate delle follature (il procedimento con cui, durante la fermentazione, le vinacce che risalendo formano un tappo o cappello, vengono di nuovo spinte verso il basso attraverso il mosto che così assorbe tannini e sostanze coloranti).
Il mosto così fermentato e diventato vino viene poi fatto affinare in botti di legno per un periodo che può andare dai 4 ai 10 anni e, infine, imbottigliato senza essere filtrato.
La conservazione delle bottiglie in posizione verticale consentirà alle particelle organiche residue di “precipitare” sul fondo e in qualche modo di chiarificare il vino.
In Italia, e nello specifico in Friuli, troviamo produttori che hanno fatto di questa antichissima tradizione uno nuovo stile di viticoltura e produzione, coltivando con cura e attenzione i vitigni che meglio riescono in questa particolare lavorazione: Ribolla gialla, Friulano, Chardonnay e Sauvignon sono tutte uve a bacca bianca, con acini dalla buccia spessa e dalla buona percentuale colorante. Sono uve resistenti e di struttura, dai profumi definiti che variano e si arricchiscono con la fermentazione e l’affinamento e che stanno bene nel legno, dal quale assorbono i profumi terziari che ammorbidiscono tannini e acidità.
È grazie a queste uve prestigiose che i vini arancioni possono proporre una gamma di profumi complessi e ampi, che vanno dalla frutta matura e secca a profumi erbacei di paglia e fieno.
Gusto intenso e aromaticità particolare permettono di esplorare una gamma di profumi quali cannella o vaniglia, miele o frutta tropicale, legno e lievito, che sulla carta sembrano inconciliabili ma che al palato si armonizzano ed equilibrano.
Abbiamo davanti vini intensi che sulla tavola posso eguagliare i fratelli rossi, trovando il giusto abbinamento anche con carni dal gusto intenso come il capretto, l’agnello e anche la selvaggina.
Ottimo anche l’abbinamento con piatti di pesce, soprattutto carpacci di salmone, tonno o pesce spada e, per gli amanti del genere, con il sushi, tanto per ribadire l’internazionalità di questi vini.
La prova migliore resta sempre quella degli abbinamenti regionali che sono perfetti, e provare magari a gustarli con chi li produce, per ascoltarne la storia affascinante che li rende così unici. Cin Cin!

In questo articolo

Loading interface...Loading interface...Loading interface...Loading interface...
Errore durante il caricamento dei dati