Ogni anno, tra il 22 e il 23 settembre, assistiamo a un evento particolare, conosciuto come equinozio d’autunno. In due precisi momenti dell’anno – in autunno e in primavera – il sole si trova allo zenit dall’Equatore, posizione che permette ai raggi solari di colpire il Pianeta in modo perfettamente perpendicolare e far così eguagliare le ore di luce a quelle di buio.
Ma tralasciando la spiegazione puramente astronomica, l’equinozio d’autunno è sempre stato un momento di grandi celebrazioni per l’uomo, sin da tempi antichissimi. Presso le civiltà precolombiane, greche e romane esisteva già l’abitudine di osservare attentamente gli astri e interpretarne i movimenti.
Nell’immaginario comune, l’equinozio d’autunno coincideva con un momento di calma e ricchezza: dopo le fatiche dei mesi estivi, arrivava finalmente il momento di godersi il raccolto. Non a caso, l’equinozio autunnale è spesso rappresentato da una cornucopia, una coppa da cui sgorgano frutta, verdura e altre prelibate ricchezze.
Una delle prime popolazioni a celebrare l’equinozio d’autunno fu quella dei Maya, che in occasione di questa ricorrenza festeggiavano la discesa sulla Terra di alcune divinità, sia per inaugurare la stagione dei raccolti che per ricordare agli umani l’arrivo del freddo. Uno di questi dei era Kukulkàn (“il serpente piumato”), a cui è intitolata la famosa piramide nel sito archeologico di Chichén Itzá, nello Yucatan. Qui, durante gli equinozi, si può assistere a un curioso gioco d’ombre che sembra far apparire sulla piramide la sagoma di un serpente coperto di piume, e quindi della stessa divinità.
Per i Greci il mese di settembre era un susseguirsi di festeggiamenti, tanto che le più importanti ricorrenze annuali venivano celebrate in questo periodo. Durante l’equinozio si ricordavano i misteri Eleusini, dedicati alla discesa di Persefone negli Inferi e celebrati per rimarcare l’eterna alternanza tra luce e buio, tra vita e morte, in relazione al progressivo accorciarsi delle giornate.
Le civiltà nordiche e celtiche, invece, festeggiavano Mabon, il giovane dio dei raccolti che venne rapito alla nascita e poi liberato da Re Artù. Viene spesso rappresentato come un fiume, a simboleggiare l’abbondanza dei raccolti autunnali, del consumo dei prodotti coltivati in estate con dedizione e fatica, ma anche dell’arricchimento prima del duro inverno.