E l’uccellino come fa? Cinguetta, no? Eppure i volatili non sono tutti uguali. Ciascuno ha un modo speciale di comunicare, tramite suoni che spesso non hanno nulla a che vedere con il tradizionale cinguettio.
Il tordo (specie quello Bottaccio) emette un suono molto diverso dal classico cinguettio o dallo schiamazzo (comune nelle oche). Si tratta di un suono mononota negli esemplari femmina e binota nei maschi, i quali – appunto – si dice “doppino”.
Il tordo ricorre allo zirlo per richiamare i propri simili.
La si sente garrire in primavera e nei mesi estivi, sia in campagna sia in città. Quello che emettono le rondini è un verso stridulo, compiuto soprattutto dai maschi che, dopo aver nidificato, devono attirare le femmine.
Quello del pappagallo è tutt’altro che un canto. Sebbene secondo il dizionario “ciangottare” sia anche sinonimo di “cinguettare”, questo verbo descrive una comunicazione fatta di parole mozzate e suoni poco distinguibili. Non è forse così che molti pappagalli iniziano a comunicare prima di imitare le conversazioni dell’uomo?
Inizia a cantare alle prime luci dell’alba, risvegliando la natura intorno a sé col suo trillo. Il suo canto è molto modulato e continuo, imitando a volte anche versi di altri uccelli.
Più che per il tamburellare insistentemente sui tronchi degli alberi, il picchio verde si riconosce per il suo verso inconfondibile – simile a una risata beffarda –, acuto e continuativo.
Proprio come una cantante lirica, l’usignolo gorgheggia riempiendo l’aria di piacevoli vibrazioni e suoni. Questi vengono emessi su una stessa nota e in maniera continuata.
Un suono singolare, simile allo schiocco di un bacio. Quello che il beccaccino emette è un suono legato solo al momento in cui s’invola. Diversi sono invece i suoni che compie quando è a terra: una serie di squittii profondi che fungono da richiamo.
Nel suo De Naturis Animantium Svetonio riporta i versi di tantissimi animali di cui già i latini erano a conoscenza. Orsi, pecore, elefanti ma anche diversi volatili. I verbi che descrivono i suoni emessi da certi animali sono fortemente onomatopeici, come “pulpare”, usato per definire il verso dell’avvoltoio. Il rapace emette un urlo soffocato e roco.
Un verso caratteristico che deriva dal verbo latino “paupulare”, molto onomatopeico. Questo particolare suono viene emesso soprattutto durante il periodo di accoppiamento, quando il pavone – insieme allo spettacolo della ruota – danza e schiamazza davanti all’oggetto del suo desiderio.
Come tanti altri rapaci (fra cui l'allocco), il bubolare è tipico di questi volatili. Si tratta, come per il verso dei pavoni, di un verbo onomatopeico di origine latina. Letteralmente vuol dire “voce cupa, lamentosa”, e stava ad indicare il verso emesso dal “bubo”, ossia il gufo.