Quando leggiamo l’etichetta di una bottiglia di vino, troviamo spesso sigle come DOP, IGP o, più raramente, STG. Che differenza c’è tra l’una e l’altra?
Le denominazioni sono uno strumento che l’Unione Europea utilizza per tutelare la qualità e l’identità dei prodotti agroalimentari, vino compreso. Servono a garantire l’origine geografica, i metodi di produzione e, almeno in parte, il rispetto di una tradizione.
È la classificazione più stringente. Significa che tutte le fasi della produzione del vino (dalla coltivazione dell’uva all’imbottigliamento) avvengono in un’area geografica ben precisa. Inoltre, devono essere seguite regole stabilite da un disciplinare ufficiale. È il caso, ad esempio, del Barolo DOP o del Chianti Classico DOP.
Qui i criteri sono più flessibili: almeno una fase della produzione deve avvenire nella zona indicata. L’uva può provenire anche da aree diverse, ma il vino acquisisce caratteristiche specifiche legate a una tradizione territoriale. È una categoria che permette più libertà, ma resta comunque regolata e controllata.
Nel caso del vino è molto più rara, rispetto ad altri alimenti (come ad esempio la mozzarella). Indica un metodo di produzione tradizionale, indipendentemente dal luogo in cui viene applicato.
In Italia, oltre a queste sigle europee, troviamo anche le storiche DOC (Denominazione di Origine Controllata) e DOCG (Denominazione di Origine Controllata e Garantita), che rientrano oggi a tutti gli effetti sotto l’etichetta DOP, ma continuano a essere usate per ragioni culturali e di riconoscibilità.