I centri che regolano fame e sazietà all’interno del cervello risiedono precisamente nell'ipotalamo, la struttura posizionata tra i due emisferi. Gli organi periferici mandano qui segnali di natura chimica che si traducono poi nei messaggi "ho fame" o "sono sazio", che ci spingono a cercare il cibo o a smettere di mangiare. Masticare a lungo, ad esempio, induce dopo un po' il segnale di sazietà, come la sensazione della pancia piena. Quando invece lo stomaco è vuoto e abbiamo poche energie, l'ipotalamo ci ricorderà che è ora di mangiare. Ma è così semplice? Non sempre.
Non sempre legate alla fame (e dunque traducibili nel desiderio di un cibo specifico piuttosto che di un altro), le cosiddette voglie nascono da una combinazione di componenti psicologiche e biologiche. Capita spesso di mangiare non per fame ma perché la situazione lo richiede, come a una festa, o perché vediamo un cibo che ci piace e non vogliamo perdere l'occasione di assaggiarlo. Ma a molte persone succede di mangiare anche per noia, ansia, depressione o bisogno di appagamento.
Un soggetto molto stressato sembra essere più portato a sperimentare questo tipo di situazioni, arrivando a desiderare determinati alimenti (in particolare quelli ricchi di zuccheri, sale e grassi) per godere del loro potere “rilassante” sul corpo e sulla mente. Contrariamente alla fame (in cui mangeresti qualsiasi cosa), la voglia è spesso e volentieri specifica, ma può anche confondersi con il normale bisogno di mangiare, specie quando siamo a digiuno da troppo tempo. In linea di massima, se il nostro corpo necessita del cibo, qualunque cosa – persino un frutto – andrà bene per colmare un vuoto percepito tanto a livello fisico quanto mentale.
Il nostro desiderio per i piatti particolarmente calorici altro non è che un retaggio evolutivo. Per l’uomo delle caverne, cacciatore e raccoglitore in costante movimento, un pasto ricco di zuccheri e grassi rappresentava sempre una manna dal cielo, a prescindere da quanto fosse piena la sua pancia in quel momento. Per cacciare serviva moltissima energia e altrettanta per mantenere la temperatura corporea in un mondo in cui il riscaldamento non esisteva. Quando il cibo mancava, l'organismo doveva contare sulle energie immagazzinate nel grasso corporeo, accumulato in momenti più fortunati. Insomma, se il nostro cacciatore, poco dopo un lauto pasto, si fosse trovato davanti a un piatto di bignè, di certo il suo cervello non gli avrebbe detto di rinunciare al dessert.
Oggi viviamo in case con frigoriferi e dispense sempre pieni e ci muoviamo molto meno durante la giornata, ma il nostro corpo porta ancora questa eredità dei nostri antenati. Per questo, anche se abbiamo passato la giornata seduti davanti allo schermo o abbiamo già mangiato in abbondanza, i biscotti nella dispensa rimangono un richiamo talvolta irresistibile. A ciò si aggiungono la componente emotiva e quella sociale, che nelle nostre scelte alimentari giocano sempre un ruolo importante.
Liberarsi delle voglie non è semplice né immediato, anzi, forse non è neanche del tutto necessario: di fatto non c'è nulla di male nel desiderare un alimento che ci piace se questo non ci porta a consumarne in eccesso e compromettere la nostra salute.
Le voglie possono rappresentare un vero problema quando a sperimentarle sono soggetti con obesità, malattie metaboliche o disturbi del comportamento alimentare. La scelta ideale in questi casi è sempre affidarsi a medici esperti del settore, sia per migliorare l'alimentazione che per affrontare l'aspetto psicologico legato ai cosiddetti "cravings".
Per gli individui sani, invece, la strategia consigliata è semplicemente adottare uno stile alimentare vario ed equilibrato, che assicuri il giusto fabbisogno calorico e non imponga restrizioni assolute, ma linee guida ragionevoli e sostenibili nel tempo.
Per estinguere una voglia – prima di cedervi – possiamo provare con questi piccoli stratagemmi: