Se l’importanza del cibo è riconosciuta da sempre in quanto bisogno primario, le emozioni nella nostra cultura sono state a lungo messe in secondo o terzo piano, dietro la concretezza dei fatti e l’autorevolezza del raziocinio.
La ricerca negli ultimi 50 anni ha però restituito alle emozioni il posto che spetta loro: sono esperienze complesse che influenzano il pensiero e il comportamento, spesso in modo inconsapevole. Intervengono nei processi cognitivi, nei processi decisionali, nella costruzione e nella percezione del benessere soggettivo.
Tra cibo ed emozioni c’è un legame molto stretto, legame che viene riscontrato anche nel trattamento dei disturbi alimentari. Nel Disturbo da Alimentazione Incontrollata si parla di emotional eating o fame emotiva, quando si mangia in risposta a stati emozionali e non a stimoli biologici. Le emozioni maggiormente coinvolte in questo comportamento disfunzionale sono ansia, tristezza, solitudine, stanchezza e disperazione, ma si mangia anche per felicità.
Sono solo le emozioni ad agire sull’alimentazione o è anche l’alimentazione ad agire sulle emozioni? L’assunzione di determinati alimenti favorisce il rilascio di dopamina e di serotonina, neurotrasmettitori del piacere e della felicità. Funzionano così i carboidrati semplici, ma anche il cibo spazzatura o il comfort food.
In questo processo di influenzamento reciproco, cosa ci rende maggiormente capaci di fare scelte salutari o quantomeno non nocive?
Prima di tutto una buona competenza emotiva: saper conoscere, riconoscere, gestire e regolare le emozioni. Ci si può lavorare fin da piccoli: il biberon, il gelato o le caramelle non sono la risposta a ogni problema.
Poi un’educazione alimentare che ci permetta di preferire alimenti in grado di regolare dopamina e serotonina senza particolari controindicazioni come per esempio banane, cioccolato, avena, salmone, ananas, uova.