Uno studio del 1995, a opera degli psicologi Hart e Risley, ha dimostrato che i bambini cresciuti in condizioni di povertà, all’età di quattro anni avevano ascoltato 30 milioni di parole in meno rispetto ai coetanei di famiglie benestanti: uno svantaggio cognitivo pesante per lo sviluppo, che tende a segnare un percorso di studi in salita.
Recenti indagini indicano che non è solo la quantità dei vocaboli a influire sul dispiegamento delle capacità intellettive, ma la qualità: in particolare una ricerca pubblicata su Psychological Science dimostra l’importanza della reciprocità dello scambio.
Il numero di dialoghi che il bambino sostiene è più rilevante dello status socioeconomico nel predire lo sviluppo dell’area di Broca, ovvero la regione cerebrale più strettamente associata alla produzione del linguaggio parlato.
Gli scambi verbali hanno due componenti che i bambini devono padroneggiare: la contingenza temporale e quella semantica. In pratica, devono capire i tempi della conversazione umana e come rispondere a tono.
Le famiglie devono dunque cercare di stimolare i piccoli a parlare: soprattutto in un momento storico in cui i dispositivi tecnologici tendono ad isolarci.
Un buon modo di farlo è seguire gli occhi dei piccoli e spronarli a commentare ciò che vedono.
Il linguaggio è il miglior predittore delle capacità scolastiche in ogni campo: è la base dell’apprendimento.