Per fortuna, c’è una soluzione: l’impiego di cereali a basso contenuto di glutine o con una percentuale minima. Ecco allora che riso, avena, mais, grano saraceno, miglio, sorgo ed altri surrogati del malto prendono il posto dei tradizionali ingredienti della birra (in particolare dell'orzo maltato) e restituiscono una vera e propria birra senza glutine.
La produzione di birra priva di orzo potrebbe sembrare una novità dovuta alle tendenze alimentari degli ultimi tempi, ma non lo è: basta pensare al fatto che in alcune zone del mondo dove l'orzo non cresce, come ad esempio l’Africa, le birre sono tutte prodotte con dei sostituti.
In Italia il commercio di birra senza glutine fa riferimento a una normativa di dieci anni fa, che distingue le birre in due categorie: quelle con una percentuale di glutine molto basso (con un valore compreso tra 21 e 100 ppm) e quelle con etichetta “senza glutine” (con un valore inferiore ai 20 ppm), appositamente rivolte ai celiaci.
Il regolamento prescrive il rispetto di specifiche norme igieniche durante la fase di produzione, volte ad evitare qualsiasi forma di contaminazione con prodotti contenenti glutine.
Alla normativa si affianca il controllo dell'AIC: l’organizzazione ha premura di supervisionare le diverse fasi di produzione della bevanda. Le birre considerate idonee per gli intolleranti al glutine verranno inserite nella guida dell’associazione e otterranno sull’etichetta il simbolo del prodotto gluten free: la spiga barrata.
La birra è quindi definita sicura quando il valore della proteina è sotto una certa soglia: questo significa che il consumo eccessivo può rappresentare comunque un rischio per un celiaco.