La chiarificazione del vino viene praticata da secoli secondo varie metodologie, dalle quelle antiche alle più moderne e innovative.
Se stai pensando che in questa fase il vino subisca uno “scolorimento”, non ti sbagli, anche se è più adatto dire che il liquido viene stabilizzato. La chiarificazione si effettua sul mosto fermentato per donare al vino maggiore limpidezza e stabilità, impedendo eventuali modifiche biologiche o chimiche dopo l’imbottigliamento. Tramite questo processo vengono eliminate anche tutte quelle sostanze sospese naturalmente nel vino stesso, come residui di lieviti o bucce, che renderebbero il vino torbido.
Durante la fase di riposo tutte le sostanze ancora presenti nel vino, pur continuando a lavorare, pian piano terminano il loro ciclo vitale, depositandosi sul fondo e rendendo il vino via via più limpido e chiaro. La chiarificazione farà sì che anche le ultime parti, quasi invisibili all’occhio umano, vengano definitivamente eliminate dal liquido.
Secondo il Regolamento CEE 822/87 la pratica di chiarificazione più usata, soprattutto per vini pregiati e già impiegata al tempo dei Romani, prevede l’uso dell’albumina. Un’alternativa è la bentonite, un’argilla depurata che, assorbendo acqua, si gonfia e cattura le sostanze potenzialmente ossidanti presenti nel vino.
Anche la caseina è usata con successo per stabilizzare i vini bianchi in quanto ha il potere di eliminare i polifenoli. Le gelatine vegetali e animali (come la colla di pesce), invece, rendono più morbidi i vini rossi agendo sui tannini e producendo meno fecce.
A partire dall’1 luglio 2012 sia chiarificanti che stabilizzanti tra cui i solfiti sono sottoposti alla normativa sugli allergeni, che impone che vengano elencati in etichetta. L’indicazione deve essere riportata nella lingua dello stato europeo in cui il vino sarà venduto e può essere integrata dalla presenza di pittogrammi. Derivati di latte e uova vanno dichiarati se presenti in quantità superiore agli 0,25 mg/l, mentre per i solfiti il limite è di 10 mg/l.