Dopo anni di dibattiti il mondo ha deciso: la pizza italiana (o meglio napoletana) è patrimonio dell’umanità, e oggi festeggia il suo terzo compleanno “ufficiale”!
Come si legge dalle parole del Comitato di governo dell’Unesco, il prodotto più rappresentativo del nostro Paese nel mondo non è solo cibo, bensì una tradizione da cui derivano riti sociali, gesti, gerghi e abilità per nulla banali.
La candidatura della pizza all’Unesco era arrivata nel 2009. L’anno successivo la Commissione Europea emanava un regolamento per la produzione di pizza napoletana, inaugurando il marchio STG (Specialità Tradizionale Garantita).
La vittoria che l’Italia aspettava è però datata dicembre 2017, quando il Comitato Unesco riunito a Jeju, in Corea, annunciava che “la creatività alimentare della comunità napoletana è unica al mondo”. L’arte del pizzaiolo napoletano (e quindi la pizza, quella vera) entrava ufficialmente a far parte del patrimonio culturale dell’umanità.
Il 17 Gennaio come giornata mondiale è stato scelto probabilmente in onore di Sant’Antonio Abate, protettore di pompieri e pizzaioli, in calendario proprio oggi.
Prima della scoperta dell'America, e in generale dell'affermazione del pomodoro sulle nostre tavole, non possiamo parlare di pizza come la conosciamo oggi. L'idea di una focaccia piatta e farcita è però presente in diverse culture da molto tempo, forse addirittura dal Neolitico. La pita greca è un esempio (anche particolarmente assonante) di quanto questo tipo di piatto sia comune nei paesi mediterranei. Un prodotto di tale fama ha però bisogno di un evento importante e dev’essere associato a nomi di una certa rilevanza.
Nel giugno del 1889 Sua Maestà la Regina Margherita si trovava nella residenza estiva di Capodimonte, a Napoli. Camillo Galli, capo dei servizi di tavola dei reali, fu incaricato di contattare Raffaele Esposito, un pizzaiolo molto noto in città. Siamo certi quindi che la pizza, almeno nel capoluogo campano, esisteva già prima di tale evento, ma con una cliente di tale spessore Esposito diede il meglio di sé.
Per omaggiare Sua Maestà decise di cucinare una pizza tricolore, fatta di pomodoro, mozzarella e basilico. Dopo la decisa approvazione e i complimenti da parte dei commensali, bisognava dare un nome al capolavoro: nasceva ufficialmente la pizza margherita.
Quel giorno venne consacrato un alimento che oggi si fa e si mangia in tutto il mondo occidentale e non solo. Un Paese su tutti è però rimasto affascinato dalla pizza, tanto che in media ogni abitante ne consuma 13kg all’anno, quasi il doppio dell’Italiano medio. Si tratta degli Stati Uniti d'America.
Ciò ha portato l'antropologo Agehananda Bharati a teorizzare nel 1970 il cosiddetto “Effetto pizza”, ovvero il fenomeno secondo cui un prodotto ha successo prima all’estero, per poi tornare a diffondersi prepotentemente nel Paese d’origine.
A leggere le parole di un giornalista del New York Times pubblicate nel 1944 sembrerebbe che le cose non stiano proprio così. Il famoso quotidiano americano scriveva in riferimento al piatto proveniente dal Sud Italia: “una torta fatta di pasta lievitata e coperta convari condimenti, ma comunque sempre con il pomodoro. Ci si possonotrovare sopra formaggio, funghi, acciughe, capperi, cipolle e non solo”. Stando all’arrangiata descrizione verrebbe da pensare che gli Americani stavano scoprendo in quegli anni la pizza.
In realtà nel 1905, 16 anni dopo l’apparizione della Margherita, a New York apriva la prima pizzeria. Il lungimirante proprietario si chiamava Gennaro Lombardi. Rimanendo nella Grande Mela, così grande che è impossibile rintracciare ogni singolo venditore di pizza, si sa con certezza dall’autorità cittadina sulla ristorazioneche esistono oltre 1.100 locali con un nome che contenga la parola “pizza”.
Da una parte bisogna ringraziare gli USA del grande apprezzamento nei confronti del nostro prodotto, dall’altra bisogna rimproverarli per il continuo storpiamento del nome dei cibi italiani. Un esempio? La pizza più acquistata negli Stati Uniti è la “Pepperoni”. Ingrediente principale? Il salame piccante, ma perché?
Tornando nel Belpaese sono impressionanti i numeri economici legati alla pizza. Le oltre 130000 imprese sul territorio nazionale producono circa 8 milioni di pizze al giorno, per un totale di 3 miliardi ogni anno. Il fatturato si aggira intorno ai 15 miliardi di euro annui. Enorme anche il numero dei lavoratori nel settore “pizza”: 100mila a tempo pieno che diventano 200mila nei weekend. La classifica delle regioni con più attività commerciali legate alla pizza vede in testa, ovviamente, la Campania con il 16% del totale.
Un’indagine compiuta da “The Fork” su un campione della popolazione conferma che la maggior parte degli Italiani sceglie di festeggiare il compleanno in pizzeria.
Ultimamente siamo sempre più abituati alla consegna a domicilio della pizza. Ce la portano con biciclette, motorini o in macchina, l’importante è che arrivi ancora “fumante”.
In Alaska tali mezzi di trasporto rimarrebbero bloccati nella neve e comunque impiegherebbero troppo tempo a consegnare il prodotto. Non si potrà mica rinunciare alla pizza del sabato sera? Assolutamente no: la pizzeria Airport Pizza nella città di Nome ha spedito fino a qualche anno fa le pizze ai villaggi sprovvisti di pizzeria direttamente con l’aereo! Ordine minimo: 10 pizze.
I residenti potevano confermare che la pizza non si rovina in alta quota, allora la NASA ha voluto sviluppare un’idea rivoluzionaria: una stampante 3D in grado di stampare pizza, miscelando alcuni alimenti in polvere e acqua. Obiettivo? Permettere agli astronauti di esportare (e gustare) nello Spazio uno dei cibi più famosi nel nostro pianeta.