Quando si parla di bevande “unconventional”, non si possono non citare le birre “insalivate”. Nascono in Sudamerica e vengono realizzate masticando cereali come mais o manioca e sputando successivamente la poltiglia all’interno di un recipiente di terracotta per farlo fermentare. Questo perché l’amilasi, enzima contenuto nella saliva, è in grado di trasformare l’amido in zuccheri semplici, innescando la fermentazione spontanea. A seconda della “birra” che si vuole ottenere, i cereali possono essere mescolati a semi come le arachidi, frutta oppure leguminose come la falsa caoba, diffusa attualmente in Asia e nel Sudamerica.
Una delle prime testimonianze sulle birre masticate proviene da Hans Staden, un marinaio tedesco che verso la metà del XVI secolo venne catturato in Brasile dalla tribù dei Tupinamba. Seguendo le usanze precolombiane, le donne della tribù avevano l’importante compito di preparare il cauim, una bevanda fermentata da consumare nei giorni di festa e ottenuta dalla masticazione della radice di manioca.
Una delle birre “masticate” tuttora più conosciute e consumate è però la Chicha, proveniente dal Perù e prodotta usando principalmente il mais (giallo oppure nero). Viene normalmente venduta nelle chicherias, bar tradizionali disseminati per le vie delle città e dichiarati dal Ministero della Cultura Peruviano patrimonio culturale nel 2015.
Questo è il dilemma. La Chicha o il cauim sono prodotti di una fermentazione alcolica dove non viene adoperato il malto bensì cereali germogliati. Inoltre, i microrganismi coinvolti nella fermentazione sembrano essere differenti.
Eppure nel birrificio statunitense Dogfish Head hanno provato a realizzare non una ma ben due birre insalivate, includendo la masticazione nel processo di preparazione. Il primissimo esperimento risale al 2014, quando seguendo le tradizioni peruviane e usando ingredienti indigeni, il personale del birrificio ha sfruttato le proprie mascelle per masticare un mix di mais giallo e viola (maiz morado), da aggiungere al resto degli ingredienti in ammostamento. Il composto è stato poi sterilizzato, liberandolo contemporaneamente dalla possibilità di contaminazione da parte di batteri e lieviti cosiddetti “selvaggi” tipici delle fermentazioni spontanee.
Il risultato di questo omaggio alla tradizione birraia peruviana è stata una bevanda moderatamente alcolica (5.7% vol) fresca e dissetante, dall’aroma fruttato e di un meraviglioso colore violaceo.