Gordon Gallup, studioso del comportamento animale, una mattina del 1970 si stava facendo la barba, e guardando la sua immagine riflessa allo specchio ebbe un’idea: un test per individuare l’autoconsapevolezza negli animali.
Iniziò con gli scimpanzé, mettendoli individualmente davanti a uno specchio. Inizialmente le scimmie reagivano al proprio riflesso come avrebbero fatto davanti a uno sconosciuto, ma dopo alcuni giorni le urla e le minacce verso lo specchio si placavano e lo spechio diventava uno strumento: gli scimpanzé si guardavano, si pulivano i denti dai residui di cibo, si toccavano il naso e si esaminavano i genitali. I ricercatori anestetizzarono gli animali e colorarono le loro sopracciglia e orecchie con una tinta rossa. Messi nuovamente davanti allo specchio, gli animali toccarono con le dita la vernice sui loro volti.
Secondo Gallup, se un animale è in grado di riconoscersi allo specchio allora capisce di avere un’identità, e di conseguenza riconosce l’identità degli altri, separata dalla sua."Una volta che puoi cominciare a pensare a te stesso, puoi usare la tua esperienza per dedurre esperienze simili negli altri", sostiene lo studioso.
Gli scienziati del campo non sono tutti d’accordo sulla risposta alla domanda “cosa vuol dire avere autoconsapevolezza?”, ma su una cosa concordano tutti: la relazione tra il riconoscersi in uno specchio e l’essere sociale: le specie che ottengono buoni punteggi con il test dello specchio vivono tutte in gruppo. Uno studio del 1971 rivelava che gli scimpanzé nati in cattività e cresciuti in isolamento non riuscivano a riconoscersi allo specchio.
Gallup è dell’idea che solo tre specie hanno chiaramente superato il test: scimpanzé, oranghi ed esseri umani (a partire dai due anni di età).
Secondo la studiosa Diana Reiss invece il test è stato superato anche da bonobo, gorilla, delfini, elefanti asiatici e un uccello, la gazza.
È del 2018 una ricerca che coinvolge il pesce pulitore della barriera corallina.
I pesci di questa specie sono stati contrassegnati sotto la bocca con materiale marrone, e dopo aver guardato il proprio riflesso sono andati a raschiarsi la gola sulle rocce o sul fondo sabbioso delle vasche, come per pulirsi.
Secondo Gordon Gallup, non si tratta di prove sufficienti: il pesce potrebbe voler indicare all’“altro” pesce dove pulirsi, come farebbe un umano (“sei sporco lì sul mento!”).
La sorprendente reazione del pesciolino ha riaperto il dibattito sul concetto di autoconsapevolezza, ma non solo: altri ricercatori hanno sollevato la questione del test prettamente “visivo”. I cani per esempio, che falliscono puntualmente il test dello specchio, potrebbero aver bisogno di una formula diversa, in quanto sono creature più interessate a ciò che sentono e annusano. D’altra parte, animali come gli elefanti, sono a proprio agio nella sporcizia e potrebbero semplicemente non curarsi dei segni che gli vengono apposti.
Per quanto empatico sia l’Homo sapiens, facciamo fatica ad assumere il punto di vista di altre specie. Eppure questo tipo di comprensione potrebbe aiutarci non solo a capire il nostro posto nel mondo, ma anche a proteggerlo.